Intervista a Norman Manea per il suo ultimo libro in italiano

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Andrea Tarquini di Repubblica ha intervistato uno dei più grandi scrittori rumeni contemporanei. L’occasione è la pubblicazione di “Varianti di un autoritratto” per Il Saggiatore.

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BERLINO. L’ORRORE del campo di sterminio nazista, lui lo vide con gli occhi traumatizzati da bambino. Sopravvissuto, tornò a casa in una Romania presto passata da una brutale dittatura all’altra, dai fantocci di Hitler alle marionette di Stalin. Dopoguerra senza fine della guerra, sopravvivenza affidata all’astuzia, all’arte di farsi emigrazione interna, all’ironia e alla fiducia solo in pochi amici sicuri, fino all’esilio negli States per sfuggire al terrore stalinista/poststalinista della Securitate.

Ecco in due parole la storia di Norman Manea, forse il massimo scrittore romeno vivente, sempre vicino nel cuore e nel feeling al suo paese dopo decenni americani . Varianti di un autoritratto, s’intitola la sua ultima opera autobiografica per frammenti, appena uscita per Il Saggiatore. Ascoltiamolo.

Lager nazista, poi totalitarismo comunista a casa… come è sopravvissuto nell’animo a prove così brutali?
“Se parliamo di prove brutali, la sopravvivenza può essere considerata come una chance, una speranza, nel gioco delle probabilità esistenziali. Se aspiriamo o aspiravamo a una sopravvivenza spirituale e morale, dobbiamo e soprattutto dovemmo aggrapparci alla forza interiore, all’integrità”.

La più influente intellighenzia critica nell'”Impero del Male” sovietico, quella polacca, coniò da secoli prima il concetto di emigrazione interna, emigrazione nell’animo. Lei provò mai questa condizione?
“Ma certo, ci furono non pochi periodi nella mia vita in Romania in cui ebbi la sensazione di essere un esule rimasto a casa, sia per la mia radice etnica sia per la brutalità quotidiana del potere comunista”.

E oggi, 25 anni dopo la caduta di Ceausescu, quanto conta la memoria della sua generazione, per lei e per i giovani?
“La memoria ci connette col passato. Col nostro passato, ma anche col passato dei nostri antenati, nel paese in cui viviamo. Il passato che reincontriamo nei libri, nella nostra formazione culturale. È un punto di riferimento fondamentale, e insieme una provocazione, condurre il paragone costante tra la memoria e il presente, è il modo di affrontare le sfide che la nostra stessa biografia ci pone davanti”.

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La versione originale di Varianti di un autoritratto

Ma in questo suo nuovo libro, la memoria si mescola con i sogni. Che ruolo ha questa mescolanza o sinergia?
“Se la memoria è forte, e se gli eventi che la memoria richiama e rievoca dal passato sono potenti e acuti – dolore, morte, amore, sconfitte, compromessi, colpe – allora è ovvio che la memoria può segnare i nostri sogni, e qualche volta può trasformarli in incubi”.

Varianti di un autoritratto : quanto è autobiografico questo suo nuovo libro?
“Un ritratto non è una foto, un autoritratto è più di un ritratto. Varianti di un autoritratto implicano un certo grado di creatività, l’arte dell’immaginazione estetica che va oltre l’autobiografia, sebbene mantenga il quadro generale degli eventi. Giudichiamolo per quanto è o vuole essere, un’opera letteraria”.

Molti la paragonano a Musil e a Canetti: che ne dice?
“Mi sento vicino a Musil e Canetti e ad alcuni altri autori centroeuropei. Quei due grandi nomi sono quasi sconosciuti in America, pensi, è triste. In un ambiente culturale segnato dalla semplificazione, da velocità, mercantilismo e populismo, dal mito dei bestseller, è difficile che l’originalità innovativa ed espressiva vinca sul mercato”.

Nel suo nuovo libro lo humour, l’ironia, appare ancora di salvezza, perché?
“È vero, lo humour è l’ultima via di salvezza, se non ne hai più altre. Oggi in America si usa persino raccontare scherzi o barzellette ai funerali, e non è che mi piaccia tanto. Ma tornando alla letteratura, una dose di scetticismo è necessaria, e l’ironia, persino il sarcasmo, sono strumenti decisivi. In ogni grande opera letteraria troviamo un tocco di umorismo, come nella vita.

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